Chi non riesce nemmeno a immaginare quanta forza innovatrice ci sia nella vita delle donne italiane, nelle nostre vite, è immerso in un autismo politico. E questo incontro dimostra una realtà cristallina nella società, ma opaca nei palazzi del potere: l’Italia è in crisi perché non ha dato risposta alla libertà delle donne, libertà che ha cambiato tutto: vite, lavoro, relazioni, saperi.
Una delle frasi simbolo di questo “spreco di spirito” è racchiusa in una frase “Signorina, mi firmi questa lettera, poi se ne riparlerà…se e quando ci sarà una gravidanza”. Patetica inadeguatezza sì, perché, oggi, le donne amano lavorare anche soffrendone: per cercarlo, con tanta difficoltà; per sopportarne la precarietà dilagante e i modi tutti maschili in cui è costruito il lavoro; per trovare, con ingegno, le mediazioni con la vita.
Libertà e sofferenza sono il doppio registro da tenere sempre a mente, perché la vita delle donne non si lascia ridurre in alternative secche.
Le ragazze, oltre che su carriere, ritmi, retribuzioni irraggiungibili, si preoccupano di di non vivere unicamente di lavoro, a partire e non solo, dalla possibilità di essere madri senza perdero.
Conflitti nuovi, su cui grava un’organizzazione del lavoro illiberale. E’ questo il contesto in cui si ricorre al ricatto di far firmare una lettera di dimissioni in bianco al momento dell’assunzione, lettera poi chiusa nel cassetto del “capo” insieme alla libertà della lavoratrice.
E’ una forma aggiuntiva di precariato che intrappola la vita di tante giovani, e che può incombere anche su quelle meno giovani.
La legge 188/2007, a cui, in quanto prima firmataria sono molto legata insieme a Titti di Salvo relatrice in aula, preveniva il ricatto della lettera in bianco. Ma, voi sapete, il governo l’ha abolita.
E’ stata la scelta inaugurale di questo governo, atto simbolico contro l’autonomia delle donne. Un fatto sprezzante, tra i tanti che si sono succeduti come l’obbligo di innalzare l’età della pensione anziché di trovare i modi per farla maturare alle giovani, o come, la spudorata intenzione dei dirigenti dell’azienda di Inzago di licenziare solo donne. “Così, dicono, possono stare a casa a curare i bambini”.
Guadagnare è la base dell’indipendenza e non è un secondo e meno importante stipendio di una famiglia. E non si può dimenticare che tra i nuovi compiti di una madre c’è anche quello del sostentamento economico dei figli.
Da qui deve arrivare la nostra solidarietà a quelle lavoratrici di Inzago per vincere la loro trattativa.
E, anche, da qui possiamo immaginare un percorso il più largo e ricco possibile, oltre noi, per promuovere una legge di iniziativa popolare. Un passo concreto, unitario. Insieme l’abbiamo ottenuta in Parlamento nonostante l’aggressione politica di Sacconi, insieme possiamo riaffermare il suo valore pratico e simbolico. Si tratta, non solo, di riprenderci questa legge, ma di riaffermare pienamente l’esistenza del corpo femminile nei luoghi di lavoro.
Oggi, infatti, per le donne il lavoro non è solo da conquistare, ma da rendere più simile a se stesse, questa scoperta la dobbiamo al femminismo.
E’ un lavoro per smascherare quegli ingranaggi impersonali che sottomettono la vita alla logica economica di mercato, logica che i referendum hanno bocciato.
Chi ostacola la volontà delle donne ha la vista molto corta, crede di comandare perché si tiene stretti potere e denaro, ma sono solo gusci vuoti. Possiamo essere certe che, malgrado gli ostacoli enormi, la voglia delle donne di realizzarsi è insopprimibile, e questo renderà la vita più bella a tutti.
Marisa Nicchi, Siena 9/10 luglio 2011
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