All'assemblea di “SE NON ORA QUANDO?” - Siena 9 e 10 luglio - hanno partecipato oltre 2000 donne.
Nata come una riunione fra i Comitati locali di "Se non ora quando?" (attualmente più di 200 diffusi in tutto il Paese), l'iniziativa si è trasformata a poco a poco in una grande assemblea, in cui sono confluite le rappresentanti dei Comitati, ma anche le esponenti di numerose associazioni, pure quelle che, come l'UDI, non avevano aderito alla manifestazione del 13 febbraio, e numerose donne singole.
Dagli interventi che si sono susseguiti durante le due giornate, tutti rigidamente di 3 minuti (fossero di parlamentari, giornaliste, o donne impegnate in piccole realtà di base) è emersa:
- una notevole ricchezza e varietà di esperienze,
- una grande voglia di incidere sulla politica e sulle istituzioni,
- la volontà di mettere in rapporto le donne impegnate da molto tempo nei movimenti e quelle di più recente impegno (presenti all'incontro molte cinquantenni e quarantenni, un po' meno le giovani e giovanissime).
Si parte dalla convinzione comune che la manifestazione del 13 febbraio ha dato una scossa al Paese - lo dimostrano i risultati delle elezioni amministrative e dei referendum - e dal riconoscimento che tutto questo è stato possibile grazie al lavoro politico capillare e costante delle donne nelle associazioni, nei partiti, nei sindacati portato avanti negli anni.
Si potrebbe sintetizzare tutto questo con il nome di un'associazione intervenuta il primo giorno: “Zitte mai”.
Del movimento, ovviamente, non fanno parte i partiti, ma le donne impegnate nei partiti sì: anzi, viene proposto di chiedere loro di aprire una vertenza all'interno delle rispettive formazioni politiche.
I temi al centro del dibattito sono stati essenzialmente quattro, collegati strettamente tra loro:
il lavoro, e quindi la disoccupazione ed il precariato che colpiscono le donne in misura maggiore degli uomini (solo il 45% delle donne ha un lavoro retribuito - è la percentuale più bassa d'Europa -; le donne occupano solo il 7% dei livelli dirigenziali e, a parità di lavoro, guadagnano in media il 20% in meno degli uomini, anche nel lavoro precario; inoltre, venendo meno un sistema di welfare, il carico di lavoro di cura si riversa tutto sulle loro spalle);
la maternità, affrontata essenzialmente come diritto negato (ogni anno 800.000 donne perdono il lavoro perché diventano madri; un grosso limite è che non si è parlato dell'autodeterminazione, delle difficoltà che devono affrontare soprattutto le ragazze e le immigrate, giovani e meno giovani, quando hanno bisogno di abortire, e della profonda solitudine in cui si vengono a trovare);
la mercificazione del corpo delle donne ed il nesso tra sesso politica e potere;
la rappresentanza delle donne nella politica
Pina Nuzzo, dell'UDI, ha chiesto espressamente alle parlamentari che si impegnino perché venga discussa in Parlamento la proposta di legge di iniziativa popolare “Norme di democrazia paritaria nelle assemblee elettive”, su cui sono state raccolte nel 2007 ben 120.000 firme (e che rientrava nella campagna “50 & 50 ovunque si decida”!.
Riporto gli obiettivi concreti emersi da molti interventi, anche da quelli, in fase conclusiva di Di Salvo e Sapegno:
1. l'istituzione di un assegno di maternità per tutte le donne, occupate e disoccupate;
2. il porre fine al ricatto della lettera da firmare al momento dell'assunzione (le dimissioni in bianco);
3. la rivendicazione del congedo di paternità obbligatorio (importante come segnale che i figli non sono solo delle madri e come risposta ad un desiderio che sta emergendo in molti giovani padri);
4. il deciso contrasto all'innalzamento dell'età pensionabile per le donne a 65 anni,
5. la lotta contro l'attuale manovra del Governo (la più misogina che ci sia mai stata, a detta della Camusso), che comporta un ulteriore abbattimento dei servizi sociali,
6. l'introduzione dello strumento del bilancio di genere nella pubbliche amministrazioni.
7. l'obiettivo del 50 e 50, cioè la presenza delle donne al 50% ovunque si decide, non aumentando il numero dei posti (con dei posti aggiuntivi fatti apposta per le donne, ma con le donne al posto degli uomini).
Il carattere dell'assemblea è stato di grande apertura, ma non sono stati fatti sconti a nessuno: le rappresentanti politiche hanno avuto qualche fischio un po' tutte (anche Rosy Bindi quando ha detto “chiederò al mio partito di venire qui”). L'atteggiamento nei confronti della politica istituzionale si potrebbe sintetizzare con le parole di una neoeletta al consiglio di Napoli, che si è avvicinata da poco alla politica e che chiede alle politiche "professionali" "di stare accanto a noi e di non camminare sopra di noi".
La proposta scaturita da Siena è “un patto fra donne” che sul piano organizzativo prevede la costruzione di una rete nazionale, stabile, autonoma, inclusiva, con nodi territoriali, aperta a tutte coloro che decidono di starci (comitati, associazioni, donne singole), in cui si realizzi una piena circolarità delle informazioni e un continuo rapporto intergenerazionale (e dove ci si riconosca reciprocamente autorevolezza).
Anche se la valutazione complessiva resta positiva, più che altro per il processo che è stato messo in moto, occorre rilevare come la volontà unitaria alla base di "Se non ora quando?" possa essere declinata in modi diversi: perseguendo l'unità tutti i costi e quindi mettendo da parte alcuni temi su cui ci possono essere contrasti (vedi i consultori e la legge sull'interruzione volontaria di gravidanza), oppure sviluppando una ricerca unitaria, che si basa sul confronto, anche conflittuale, sulle questioni su cui vi sono divergenze.
In proposito Lidia Menapace, nel suo intervento, ha rilevato proprio come la Costituzione, nata dalla Resistenza, tracci le linee, ed i limiti, della ricerca unitaria e della trasversalità.
Penso che il compito che abbiamo di fronte si possa assolvere solo trovando il modo di lavorare insieme (donne impegnate nel comitato SNOQ, nelle associazioni, nei partiti, nei sindacati, donne che si avvicinano per la prima volta all'impegno politico, come è accaduto a Siena), per costruire una "narrazione collettiva" che non cancelli quello che c'è stato prima e crei una continuità tra passato e presente. Continuità tra passato e presente vuol dire continuità dei contenuti e degli obiettivi. Molte donne si sono battute in passato per affermare l'autodeterminazione e la libertà di decidere sul proprio corpo, per conquistare diritti che, nei fatti, oggi vengono sempre più messi in discussione (vedi i continui attacchi alla legge 194 ed ai consultori, la legge 40, la mancanza di laicità da parte dello Stato, che si sottomette sempre di più ai voleri del Vaticano, ecc.).
Un'azione comune può nascere solo dal confronto e da un ascolto reciproco, senza ignorare le questioni su cui ci sono posizioni diverse. Ad esempio, la maternità va sì tutelata come diritto, spesso negato nel mondo del lavoro, ma deve essere considerata anche come il frutto di una libera scelta - e non di un destino a cui tutte le donne sono sottoposte -.
Si tratta, quindi, di un percorso arduo, ma, secondo me, vale comunque la pena di impegnarci per vincere questa difficile scommessa.
Luisa Petrucci
martedì 2 agosto 2011
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