Siamo solidali con le lavoratrici del S. Raffaele di Milano e pubblichiamo la loro lettera
QUANDO LE DONNE SALGONO SUI
TETTI
Salire su tetti, torri o gru o su
altre piattaforme collocate al di sopra delle teste di una comunità è una
pratica di lotta non più nuova. Riflette uno stato dei conflitti di classe in
cui, più che in passato, la forza organizzata ha bisogno di sostegni nella
pubblica opinione. Ogni espediente diventa quindi legittimo, se serve a far
accendere su quella lotta le luci. Quando poi sono delle donne a salire, allora
la luce dei riflettori si fa più intensa e scattano forme impreviste di
solidarietà.
Negli ultimi giorni di novembre
due infermiere dell'ospedale San Raffaele di Milano, Graziella e Daniela, hanno
deciso di rendere la lotta a cui partecipano più visibile, piantando una tenda
sul punto più alto dell'ospedale e restandovi, malgrado il vento e la pioggia.
Vale la pena di raccontare
brevemente questa storia, quella parallela di altre donne e di come a un certo
punto le due storie si sono incontrate.
Sui campi di battaglia
Se si vuole comprendere la
condizione delle donne nella crisi, allora bisogna ogni discorso che punti
esclusivamente a sottolineare ingiustizie e svantaggi. Non per dimenticarsene
in una visione ottusamente trionfalistica della femminilizzazione del lavoro,
ma perché altre considerazioni hanno maggiore importanza, se l'ottica con cui
si guarda al presente è quella delle lotte.
I dati più recenti dell'ISTAT
dicono che in Italia aumenta sia l'occupazione sia la disoccupazione
femminile. Mentre l'occupazione maschile
è diminuita nell'ultimo anno di 184.000 unità, quella femminile è cresciuta di
138.000; sono aumentate però di 288.000 anche le donne disoccupate. Il fenomeno si legge così: la crisi ha spinto
un numero maggiore di donne a cercare un'occupazione, uscendo così dalla
categoria delle inattive ed entrando in quella delle disoccupate (o delle
occupate). Per numerose ragioni le cose potrebbero nel futuro prossimo
cambiare, ma per ora stanno come l'ISTAT registra e la morale della favola è
che le donne sono gettate dalla crisi ancora di più sui campi di battaglia
della guerra di classe. Che cosa questo significhi in termini di difficoltà a
gestire la vita quotidiana, nel momento in cui la maggiore presenza sul mercato
del lavoro si coniuga con la demolizione del welfare si è detto e
scritto più volte. Ciò che ora interessa è che la presenza delle donne nel
conflitto sociale diventa più forte, come la loro capacità di essere
protagoniste. La lotta del San Raffaele, in cui l'80 per cento dei dipendenti è
donna, ne è un esempio significativo.
Le lavoratrici del San
Raffaele
Le vicende dell'ospedale e della
gestione truffaldina di Don Verzè sono note, pochi sanno però che esso riceve
dalla Regione Lombardia finanziamenti per quasi 400 milioni l'anno, che
rappresentano il 90 per cento delle sue entrate. La nuova proprietà (padron Rotelli) ha annunciato 244
licenziamenti in tutti i reparti, compreso in quelli in cui il personale è già
assai carente, mentre 180 licenziamenti sono già avvenuti nella forma del
mancato rinnovo di contratti a tempo determinato. Ai licenziamenti dovrebbe
aggiungersi il passaggio dal contratto dalla sanità pubblica, di cui
lavoratrici e lavoratori del San Raffaele godevano, al contratto privato in una
delle sue versioni peggiori, che comporterebbe arretramenti notevoli sul terreno
normativo e retributivo. Le donne sono
state della lotta protagoniste assolute e la cosa non è in sé ovvia, come
sembrerebbe in un luogo di lavoro all'80 per cento femminile. La radicalità e
la partecipazione delle donne negli episodi di lotta del conflitto sociale non
è una novità; meno tradizionale invece la loro decisione di prendere in mano le
briglie dello scontro, di esporsi, di dirigere, di salire dove si è
inevitabilmente più visibili. Ed è anche
significativo il fatto che la lotta non abbia solo riguardato la difesa del
posto di lavoro e delle sue condizioni; una contestazione si è aperta anche
sugli atteggiamenti sessisti della direzione..
Donne nella crisi
Mentre le dipendenti del San
Raffaele presidiavano l'ospedale giorno e notte, nasceva a Firenze “Donne nella
crisi”. Un'assemblea di duecento donne nel contesto del Forum sociale europeo
(8-9-10-11 novembre), chiamata dall'appello “per un femminismo di movimento e
di lotta”, firmato da un centinaio di compagne di diverse appartenenze, decideva
di tentare il percorso di costruzione di una rete sui temi della crisi e
dell'austerità.
L'ipotesi di lavoro è semplice,
almeno a dirsi. Senza proclamare reti che ancora non esistono e a partire da
una lista, ci si propone di mettere in contatto lotte differenti di donne, dar
vita a campagne di solidarietà nazionali e internazionali, raccogliere fondi e
appoggiare vertenze individuali. Dal momento che il nucleo per ora più attivo è
in Lombardia, l'incontro con le lavoratrici del San Raffaele è stato il secondo
passo della lista, dopo quello dell'assemblea di Firenze.
Si è fatto ciò che si poteva
fare, obiettivamente poco ma l'uso di siti, blog, facebook, liste, twitter e
giornali on line ha consentito una diffusione di notizie con altri mezzi
impensabile. Alle iscritte è stato dato il suggerimento non solo di far
circolare attraverso Internet il volantino di sostegno alla lotta, ma anche che
ciascuna ne stampasse un certo numero da diffondere tra conoscenti e in
riunioni. Se si tiene conto che la lista ha 125 iscritte, l'ampiezza della
campagna di solidarietà è risultata alla fine più ampia di quanto ci si potesse
aspettare da un piccolo aggregato ai primi passi.
Lavoratori e lavoratrici del San
Raffaele hanno ancora una strada difficile da percorrere perché, dopo aver
mimato un'apertura quando Graziella e Daniela erano sul tetto, la direzione
sembra tornata sulla sua posizione iniziale che non concede assolutamente
nulla. E se la lotta è stata compatta e
coraggiosa, bisognerà che la RSU,
che finora ha guidato egregiamente la resistenza, affini le sue capacità di
stringere relazioni con il resto del mondo.
Se la lotta davvero continua
La lotta delle lavoratrici del
San Raffaele continuerà, anche se sui suoi esiti non possono esservi certezze.
Forse continuerà anche l'attività della lista “Donne nella crisi” e tra
un'incertezza e l'altra esiste un legame. La crisi ha aperto in gran parte del
mondo un periodo di resistenze e proteste, che hanno indotto il Time a
nominare persona dell'anno 2011 The Protester, il manifestante,
colui/colei che cambia la storia. Ma si tratta di movimenti e proteste ad alto
tasso di sconfitte per il logoramento di strumenti di lotta una volta centrali
e per lo stato dei rapporti di forza. The Protester,
uomo o donna che sia, agisce in
un contesto in cui tutto è più difficile e tra le altre cose è anche più
difficile immaginare. Trovare modalità
di superamento della frammentazione, compiere l'insieme degli atti e delle
pratiche che avvicinano un pensiero politico al suo referente sociale,
concepire soluzioni e propositi che vadano oltre il proprio “particulare” sono
compiti che una rete di donne potrebbe assolvere e che avrebbe oggi l'autorità
di proporre anche ad uomini. Ma è difficile: è come se di certe pratiche
obiettivamente necessarie, si fosse persa la capacità e l'intenzione stessa.
Se però davvero la lista
comincerà a funzionare come un embrione di rete, allora non ci sarà che
l'imbarazzo della scelta. Altre lotte di
donne sono in calendario; sono aperte vertenze di donne licenziate perché in
gravidanza; circola l'idea di una campagna nazionale che sia di solidarietà e
raccolta di fondi per le donne greche e interessi le italiane sul tema della
sanità pubblica. Si è pensato infatti a
una campagna nazionale che sia di solidarietà e raccolta di fondi per le donne
greche e nello stesso tempo interessi le Italiane sul tema della sanità. La compagna greca intervenuta nell'assemblea
di Firenze ha raccontato che nel suo paese non c'è più copertura per
l'assistenza al parto in ospedale. Chi la desidera deve pagare 1500 euro, una
cifra enorme per la maggioranza delle cittadine greche in questo momento.
Raccogliere un po' di fondi per loro su un appello e aprire nello stesso tempo
un discorso sulla questione in Italia, sarebbe davvero opportuno, soprattutto
se si tiene conto che prima di cadere Monti aveva già aperto il fuoco sul
servizio sanitario italiano. E infine
può anche accadere che Graziella e Daniela salgano di nuovo sul tetto.
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